Tre pezzi facili
Certo, la metafora non è davvero originale, e forse anche un po’ iperbolica (e ancien régime), ma tant’è: il MIUR ha annunciato per domani e dopodomani l’avvio, attraverso gli Stati Generali, di un «articolato processo, distribuito nel tempo, improntato ad un monitoraggio del sistema e ad un costante confronto tra addetti ai lavori e stakeholder» del mondo AFAM.
Logora, iperbolica, ancien régime la metafora che intitola l’incontro, d’accordo: l’occasione però c’è, e ci sembrerebbe a un tempo ingeneroso e autolesionista gettar da subito lo sguardo altrove.
Non sappiamo se l’incontro del giorno 9 sia stato adeguatamente pubblicizzato e divulgato almeno dai Direttori, cui pare sia stata data la possibilità (e in fondo il compito) di accreditare 4 docenti per Istituzione: molti colleghi di questa possibilità erano e sono tuttora all’oscuro.
I temi che ci affliggono ormai da vent’anni son noti a tutti, solo il ripeterli produce sonno e irritazione. Ognuno di noi ha evidentemente le sue idee su come e da che tipo di figure dovrebbero essere rette le nostre istituzioni (elettività vs. “competenza”), su come dovrebbero essere reclutati i docenti (autonomia vs. trasparenza), sul ruolo della “valutazione” (ontologia della mensura vs. irriducibilità ai criteri della quali-quantità), sui corsi pre-AFAM (nostalgico sguardo retrospettivo vs. inseguimento affannoso di una dimensione “universitaria”). Ma accanto a questi temi che hanno inconcludentemente segnato l’ultimo ventennio, ci sembra possa essere utile, proprio alla vigilia della due giorni romana, segnalarne altri tre.
Il primo è in realtà l’ultimo: il dopo, il lavoro (che non sia dopolavoro). Non parliamo esattamente di placement, ché questo ci parrebbe uno stadio ancora successivo, per ora nemmeno alle viste. Recita la pagina dedicata al placement di uno dei più noti consorzi inter-universitari: «I servizi Placement messi gratuitamente a disposizione degli Atenei consorziati hanno lo scopo di agevolare l’ingresso dei neolaureati nel mondo del lavoro e ottemperano alla normativa (“collegato lavoro”). La Piattaforma consente all’Ufficio Placement di registrare enti e aziende e di effettuare attività di intermediazione e di supporto nella selezione dei profili professionali da loro ricercati».
Ma è possibile un’intermediazione (che, tra l’altro, non si tramuti né in creazione di manodopera a basso costo, né in assoggettamento a una mera logica di utilità e di produttività attraverso burocratici monitoraggi, profilazioni o valutazioni di “competenze”) laddove quel mondo del lavoro non esiste?
Parliamo naturalmente (anche) di investimenti, e i dati italiani sono, per così dire, pietosi e impietosi a un tempo. Ma non parliamo solo di quello, come abbiamo argomentato in altri articoli. È chiaro che se un ambito lavorativo di fatto non esiste, prevedere a monte un impegno formativo a carico della collettività e pretendere di svilupparlo e arricchirlo, di renderlo “competitivo”, di “internazionalizzarlo” (per quanto quell’impegno formativo non possa e non debba ovviamente mai esaurirsi nel gesto del “collocamento”) rischia di farsi, di questi tempi, poco realistico.
Il secondo tema è quello di una definizione di campo. Che cosa intendiamo con AFAM, quale il suo perimetro? Quali i rapporti tra mondi più fragili, come quello delle performing arts, e mondi che già nella fase formativa appaiono già in qualche modo inseriti nel “mercato”, come quello della moda e del design? Quale potrebbe essere un rapporto sano tra il pubblico e il privato? Il pubblico che fa il privato cercando di volta in volta di trasgredire con astuzia alle regole specifiche del settore pubblico, o il privato che fa il pubblico, ottenendo attraverso la politica e il rispetto di un paio di paletti formali la possibilità di rilasciare titoli riconosciuti? Dal 2005 e dal DPR 212 le maglie si sono via via allargate, fino alla Nota Ministeriale 20 giugno 2016, che di fatto prevede che qualunque soggetto privato possa presentare istanza di autorizzazione anche a singoli corsi volti al rilascio di diplomi accademici. Ma quale sistema accetta di sentirsi dire per anni di essere in fondo sovradimensionato, (qui e anche qui) quando nel contempo accetta pure, senza batter ciglio, che il sovradimensionamento cresca indefinitamente? Non sarebbe più logico (per il momento, ci mancherebbe…) giungere a una moratoria, a una sospensione, fino a emanazione del Regolamento su programmazione, riequilibrio e sviluppo dell’offerta didattica nel settore, di tutti gli accreditamenti a soggetti pubblici e privati per l’apertura di nuove sedi, e di tutti gli accreditamenti a soggetti privati per l’attivazione di nuovi corsi AFAM, applicando in qualche modo anche all’AFAM l’art. 6 di quel DM 635 del 08.08.2016 riferito all’Università?
L’ultimo tema sarebbe in realtà il primo, la premessa. Chi rappresenta il mondo AFAM, e una parte piuttosto cospicua e assai determinante come la componente docente, da quando il suo organo di rappresentanza previsto dalla Legge 508, or son sei anni, è stato messo a tacere? Si possono emanare atti decisivi per gli assetti del sistema, quali ad esempio il reclutamento, senza il parere di quell’organo? E avrebbe senso ricostituirlo a cose fatte? Al CNAM di allora fu attribuita qualche responsabilità nella lentezza dei processi decisionali; ma da quando non c’è (al di là dell’evidente vulnus “istituzionale” e delle responsabilità in capo ai Ministri che non hanno fin qui ottemperato al compito), forse che le cose camminano più spedite? Conferenze di organi monocratici eletti che non lasciano alcuna traccia del proprio lavoro? Che non pubblicano i verbali dei propri incontri? Che non rendono conto del proprio operato alle comunità che ritengono in quei consessi di rappresentare? Ciò che prima transitava attraverso un pur difettoso canale istituzionale, allora verbalizzato e leggibile (e quindi anche contestabile e censurabile), da troppo tempo transita invece attraverso commissioni, gruppi di lavoro, consulenti, attraverso inconoscibili pressioni. Attraverso il fiato e l’aria. Attraverso una tradizione orale a tutti noi illeggibile. E ormai, diciamolo, anche un po’ insopportabile.
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