Nell’ultimo fascicolo della «Critica Musicale» Attilio Brugnoli si occupa del mio progetto di riforma dei Conservatorî, richiamando in proposito un’analoga proposta da lui fatta anni addietro al Congresso Musicale di Milano. Non ho partecipato a quel Congresso […]

È evidente che, a parte l’identità del nome, che conterebbe poco, tra le due idee – quella del Brugnoli e la mia –  vi è molta affinità, nel senso che entrambe muovono dal presupposto della necessità di una maggiore coltura nei musicisti.

Ma fra le due idee vi è anche un divario sostanziale. E sta in questo. Io credo necessario riformare il Conservatorio; Il B., invece, senza toccare il Conservatorio come è oggi, tenderebbe a creare una nuova scuola di coltura superiore. Io credo necessario riformare i Conservatorî perché essi continuano a rimanere scuole di educazione degli organi vocali o d’insegnamento dell’uno o dell’altro strumento, mentre dovrebbero essere invece scuole di musica, scuole di coltura musicale.

Qui è il nodo della questione. Conviene il B. in questo? Conviene per ciò che riguarda la scuola di composizione. È già molto […]

Ma riguardo invece le altre scuole, il B. ritiene:

  • che per gli strumenti d’orchestra l’insegnamento culturale sia più dannoso che utile
  • che negli strumenti da concerto non si possa lamentare grande deficienza di coltura (il B. dimentica affatto i cantanti, per i quali credo sarà egli pure d’accordo che un po’ più di coltura sarebbe desiderabile…)

Ora, anche nei due punti in cui il B. dissente dalla mia proposizione fondamentale, secondo me ha torto. Anzitutto, e in linea generale, perché l’insegnamento colturale, che a norma del mio progetto concreto, quale ho presentato alla commissione permanente per l’arte musicale, dovrà impartirsi nei Conservatorî, non andrà affatto a detrimento dell’insegnamento tecnico, come il B. dubita. L’insegnamento tecnico non sarà per nulla toccato. Si aggiungerà, cioè una scuola di coltura a quella tecnica, e non si sostituirà l’una all’altra.

(Nel mio articolo sulla NRM ho detto: «Può darsi – e non è lecito neppure affermarlo con certezza – che si uscirebbe dal Conservatorio provvisti di minore virtuosità tecnica […] E virtuosi , se necessario, si può diventare in un anno o due anche fuori del Conservatorio […]: come ha interpretato il B. queste mie parole? Nel senso che io creda sufficienti uno o due anni… a far che? È chiaro che io parlo di uno o due anni dopo quelli del corso regolare del Conservatorio, e quindi di studio di perfezionamento).

Ha torto infine il B. per quanto riguarda gli strumenti da concerto, perché non solo gli allievi di composizione e di canto, ma anche quelli di pianoforte, d’organo, di violino, ecc., ricevono nei nostri Conservatorî una coltura deficientissima. Essi conoscono appena, e in modo disordinato, la letteratura del proprio istrumento.

E il B. dicendo che non si può pretendere che gli studenti di pianoforte, d’organo, ecc., siano a disposizione dei futuri compositori rimpicciolisce la questione; e non considera che, mettendosi a disposizione, non già degli studenti di composizione, ma della musica, in tutte le sue espressioni più varie e più significative, gli strumenti stanno i primi a ritrarne vantaggi incalcolabili per la formazione e l’equilibrio della loro personalità. […]

GIACOMO OREFICE, in «La critica musicale», 3/1919, pp. 64-65

 

[…] Avendo in comune un alto ideale, le divergenze fra me ed Orefice riguardano dunque la realizzazione del progetto stesso che, sia pure a sua insaputa, vado propugnando da oltre 12 anni.

Ma queste divergenze toccano un argomento fondamentale, pregiudiziale, anzi. La funzione dei Conservatorî deve riguardare la diffusione del dilettantismo o mirare ad elevare sempre più l’arte? Se l’insegnamento della Musica potesse essere impartito per imitazione, basterebbe aprire le porte a quattro battenti perché chiunque potesse esservi ammesso. Ma siccome in musica non è possibile rivelarsi artista se non si possiedono i mezzi per manifestarsi tale, e siccome non è possibile assimilare quei mezzi che a prezzo di non lieve lavoro e coll’insegnamento individuale (più proficuo negli Istituti perché ciascun allievo vi apprende anche a spese dei compagni di studio) è evidente che la proposta Orefice invertirebbe di sana pianta quest’ordine di cose. Uno o due anni di perfezionamento per imparare a suonare dopo essere usciti dal Conservatorio? Penso, e con ragione credo, che chi abbia contratto l’abitudine di suonare come si voglia, pur di legger musica, non abbia poi la forza, la costanza e, ad una certa età (poiché quel tal perfezionamento dovrebbe essere affrontato dopo l’uscita dall’Istituto) l’attitudine fisica a crearsi i mezzi dinamici indispensabili ad una buona esecuzione.

L’Orefice si chiede che cosa io abbia capito del periodo «Può darsi ecc.?» Ma… a me sembra d’aver capito proprio quanto voleva significare, e cioè che la riforma da lui proposta potrebbe pregiudicare la profondità degli studi tecnici. Quello che non era chiaro, e di cui chiesi cortesemente le delucidazioni ora venute, riguardava l’affermazione dell’Orefice che si potesse cioè divenire virtuosi in uno o due anni.

Parlare dell’aggiunta di una scuola di coltura a quella tecnica mi pare costituisca una ingiuria a tanti insegnanti valorosissimi che han dato all’Arte e alla Patria una vera legione d’artisti. Non vorrà affermare l’Orefice, spero, che un insegnante di strumento da concerto passi nove anni a controllare soltanto se l’allievo mette le dita a posto o come le fa muovere […]

È indubbio che la riforma proposta andrebbe a danno degli strumentisti ed a vantaggio dei più ignoranti (anche questo discutibile, poiché della coltura acquisita per semplice audizione ben poco resta a chi non sia già musicista). Ed io ripeto perciò: si facciano studiare gl’ignoranti senza turbare la serenità degli studi di tanti altri giovani. […]

Se ben rilegge l’Orefice, nella conclusione del mio articolo, il quarto postulato, vedrà io sono d’accordo con tutti coloro che vogliono migliorate le condizioni dell’insegnamento. Aggiungiamo cattedre là dove mancano: si istituisca pure una scuola di coltura superiore; ma tutto ciò non si faccia demolendo quanto c’è di buono. Perfezionare, non sconvolgere o distruggere!

ATTILIO BRUGNOLI, in «La critica musicale», 3/1919, pp. 65-66

 

Qui le puntate precedenti:

Conservatorio o Università musicale? / 1

Conservatorio o Università musicale? / 2

Conservatorio o Università musicale? / 3

Tecnica e coltura, dinamiche reazioni / 1

Tecnica e coltura, dinamiche reazioni / 2

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