Nata nel 1982 da un’idea dell’allora ministro della cultura francese Jack Lang e del vulcanico Maurice Fleuret, allora Direttore Generale per la musica e la danza presso il Ministero della Cultura, anche nella scia dei Saturnales  ideati sei anni prima da Joël Cohen, la Festa della Musica vide a partire dal 1995 l’adesione di diverse città europee, tra cui Roma e Milano. Gli intenti principali, codificati due anni dopo in un manifesto in sette punti, sono di «valorizzare la varietà e la diversità delle pratiche musicali…. invitare gli esecutori a una partecipazione spontanea e gratuita… permettere di esprimersi tanto a dilettanti che a professionisti… aprire eccezionalmente al pubblico luoghi che tradizionalmente non sono utilizzati per fare musica: ospedali, musei, edifici pubblici, il tutto senza fini lucrativi… creare occasioni di ascolto totalmente gratuite anche per il pubblico».

Ma l’idea di fondo di Fleuret, in certa misura visionaria e “politica”, nasceva in parte da una ricerca del 1981 che aveva rivelato che oltre 5 milioni di francesi “suonavano” uno strumento;  talvolta la si riassumeva così: «musica ovunque, concerti da nessuna parte». Dice oggi Lang: «Nel 1981 la musica classica godeva di un riconoscimento assoluto e particolare, e noi ritenevamo fosse necessario che anche gli altri generi (musica tradizionale, musica rock, musica di oggi) fossero portati alla luce. Volevamo una festa di tutte le musiche».

Questa l’assai forte idea di partenza, in un equilibrio molto francese tra natura e culture. Ma oggi, che la Festa della Musica riguarda 120 paesi? Oggi che in India è gestita da Artist Aloud  o Hard Rock Café? Siamo così convinti che sia rivoluzionaria e necessaria (ancora) un’operazione culturale che permetta un’emancipazione, poniamo,  della musica di consumo, nella cornice dell’ennesima Notte Bianca? Che consenta degli sconticini su questi dischi? O, se preferite, su questi?

Oggi la Festa italiana è promossa dal Mibact, dalla SIAE e dall’Associazione Italiana per la Promozione della Festa della Musica presieduta da Marco Staccioli, in collaborazione con l’Anci, l’Unpli, la Conferenza delle Regioni, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, il Ministero della Salute, il Ministero della Difesa e quello della Giustizia. Media partner dell’evento è Rai Radio 3; l’edizione 2017 vede poi la “collaborazione” di Carrefour Market, che mette a disposizione ben 163 punti vendita per altrettanti non meglio definiti appuntamenti musicali. Anche se ad esempio a Torino la situazione sembra diversa.

 

Se nel 1982 si scommetteva politicamente sulla capacità della musica di dilagare dai suoi luoghi ai suoi non-luoghi, sulla possibilità di rendere quel far musica una fête («Faites de la musique!» il motto-calembour di allora), sull’equivocazione tra gratuità del gesto e auto-gratificazione di chi lo compie, sull’antinomia barthesiana dilettante/consumatore, con una nostalgia tutta francese da exposition universelle, che dire del qui e dell’oggi?

Oggi in Italia, per non dire dei ben noti problemi della formazione musicale e della sua ormai mitologica riforma, nata come è noto su una nobilissima idea di “gratuità” (e cioè a costo zero), su 100 persone sopra i 6 anni di età, solo 9, 7 frequentano almeno una volta l’anno un concerto di musica “classica”, mentre 30 vanno a vedere una mostra o un museo, e 25, 7 frequentano spettacoli sportivi (Fonte: Rapporto ISTAT 2016); oggi i dati sull’occupazione forniti da E&Y (Italia Creativa), che tengono conto anche e soprattutto della musica non “classica” sono questi:

Oggi in Italia tutti i recenti e imminenti progetti di riordino dei teatri e dei luoghi della musica, a maggior ragione dopo la Legge 160/2016, e compreso il misterioso Codice dello Spettacolo dal vivo, ennesima delega al Governo attualmente in settima Commissione al Senato, hanno come linea guida primaria risparmio e risanamento. Oggi in Italia i lavoratori delle Fondazioni occupano gli uffici delle Sovrintendenze. Oggi lo stesso presidente Anfols sembra condividere le preoccupazioni anche occupazionali dei lavoratori dei teatri, mentre la segretaria nazionale Slc-Cgil ribadisce la necessità «di una riforma vera dello spettacolo dal vivo, senza separare le fondazioni dal resto del comparto della musica. Le 14 fondazioni italiane non coprono neppure tutto il territorio nazionale, e il timore è che si voglia ridurne ancora il numero. Se si spengono i teatri è inutile anche avere tanti conservatori. E molti dei nostri artisti già vanno all’estero».

Del resto all’interno dell’Atto di indirizzo 2017-2019 del Ministro Franceschini del 16 novembre 2016 l’unica priorità esplicitamente riferita alla musica è «accelerare il risanamento delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche e il rilancio [?] del sistema nazionale musicale di eccellenza [???]».

Insomma, risanamento, risparmi, iniziative gratuite, quasi a voler registrare l’esistenza solo di fruitori/consumatori e non anche di lavoratori/produttori; sembrerebbe proprio che con la “cultura”si possa sì forse festeggiare a comando in tempi di solstizio, ma mangiare proprio no. Se non venisse però a smentirci Elio, che nel corso della manifestazione di ieri a Montecitorio alla presenza della Presidente della Camera Laura Boldrini ha osservato come in Italia con la cultura si possa invece mangiare di brutto, fino a ingozzarsi. E noi non stentiamo a credergli.

 

 

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