Moto retrogrado
Il ministro Giannini nella sua ultima audizione davanti alla settima commissione del senato ha ribadito la necessità di trasformare l’articolazione delle istituzioni Afam, e in particolare dei conservatori, ritenendo necessario ridurre il numero delle istituzioni superiori (quelle presso le quali sono attivi Trienni e Bienni); sembra che i conservatori ai quali sarebbe affidata in un prossimo futuro la formazione superiore (attualmente tutti i conservatori e gli ex istituti musicali pareggiati appartengono a questa fascia) sarebbero 14.
Il numero non è casuale, poiché corrisponde al numero dei conservatori storici in Italia, quelli statalizzati fino al 1942 (Milano, Napoli, Palermo, Parma, Roma, Firenze, Torino, Cagliari, Bolzano, Pesaro, Venezia, Bologna), cui si aggiunsero il conservatorio di Trieste nel 1953 e quello di Bari nel 1960.
Se ciò avvenisse il numero di posti disponibili per l’accesso ai corsi superiori sarebbe conseguentemente assai minore rispetto alla situazione odierna. Paradossalmente il numero di studenti dei conservatori ha continuato ad aumentare negli ultimi anni (48.830 nell’anno accademico 2014/15) con una percentuale di studenti stranieri superiore al 9%.
Sembra quindi utile mettere a confronto alcuni dati generali relativi ai primi anni Cinquanta con i dati odierni.
Nel 1942 la popolazione italiana era di circa 45 milioni di abitanti, cresciuti a 47 milioni nel censimento del 1951; sempre nel 1951 il 12,9% della popolazione era analfabeta, il 17,9% era alfabetizzato senza titoli di studio e il 59% aveva la licenza elementare; a possedere un diploma era il 3,3% della popolazione e solo l’1% era laureato.
Nel 2015 la popolazione italiana si aggira attorno ai 60 milioni; nel censimento del 2001 gli analfabeti erano l’1,5%, i diplomati il 25,9% e i laureati il 7,5% della popolazione (un numero sorprendentemente ancora molto basso!).
Dunque l’operazione “riordino” porterebbe indietro di 70 anni, ma con una situazione generale del tutto mutata.
Se poi si osservano le statistiche che mettono a confronto le diverse aree del paese si vede come nel 1951 la sperequazione tra nord e sud in termini di istruzione era gigantesca e che questa si è enormemente ridotta. Non potrebbe aver contribuito a ciò anche la capillare diffusione (benché non sempre omogenea) degli istituti di formazione musicale in tutto il territorio nazionale? L’accesso all’istruzione (anche all’istruzione superiore) in tutte le aree del paese non dovrebbe essere una priorità per qualsiasi paese democratico? Non dovremmo far sì che cresca il numero di laureati nel nostro paese (anche laureati in musica)?
Manca nell’elenco dei conservatori ‘storici’ quello di Bari, che si aggiunge nel 1960.
Manca comunque qualcosa. Sono 11. Più Trieste 12, più Bari 13. Il 14 esimo?
Del resto anche il nuovo Presidente Anvur Andrea Graziosi (https://www.youtube.com/watch?v=00t06-dKwE4#action=share) aveva dichiarato lo scorso 16 marzo, nel corso del Forum per una nuova primavera dell’Università, presso il Mattino di Napoli, che «questo sistema [quello universitario] è andato alla deriva, a partire dagli anni ’70-’80, proprio perché non è stata governata la sua espansione […] Sono aumentate le università, sono decuplicati i docenti, ad un certo punto, grosso modo». Il tema del numero dei laureati (continui appelli a che aumentino, continui provvedimenti che sembrano invece volerne ridurre il numero) è uno dei casi più tipici in cui il dato è un feticcio (un po’ come il numero o la percentuale dei 100/100 agli esami di maturità). È evidente che tutto dovrebbe giocarsi attorno a un significato condiviso del termine «laurea»; quel numero, però, riesce comunque a apparire a un tempo «troppo basso» e «troppo alto», a seconda delle intenzioni.
Grazie ai colleghi Di Egidio e Cantalupi per le osservazioni, ora siamo a 14, e chiedo venia a studenti e docenti dei conservatori di Bari e Bolzano per averli tralasciati.