Interrogazioni
Sono state recentemente presentate in Parlamento alcune interrogazioni riguardanti il settore dell’Afam, tra cui le seguenti, tuttora in attesa di risposta:
presentata da
mercoledì 11 luglio 2018, seduta n.020
DE PETRIS – Ai Ministri dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali – Premesso che oltre 35.000 persone, fra docenti e personale ATA, comparto scuola e AFAM, hanno presentato la richiesta per andare in pensione, ovvero coloro che, secondo i requisiti richiesti dalla normativa vigente, nel 2018 raggiungono i 67 anni di età, a cui si aggiungono tutti quelli che raggiungono invece 41 anni e 10 mesi di contributi; ad oggi migliaia dei richiedenti non hanno ricevuto un riscontro;
considerato che:
dal 2018 la procedura per la verifica dei requisiti non viene seguita dagli uffici scolastici provinciali, ma dall’Inps, che determina il via libera ai pensionamenti in base ai dati offerti dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, che però non sarebbero sempre aggiornati. Si sta così verificando un rimando di responsabilità fra l’ente di previdenza sociale e il Ministero;
negli anni scorsi, in questo periodo, tutte le posizioni previdenziali di coloro (tra docenti ed ATA) che avevano maturato i requisiti di legge per la pensione anticipata o di vecchiaia risultavano già definite ed ufficialmente comunicate ai diretti interessati dai competenti uffici scolastici territoriali;
ritenuto che la situazione riguarda migliaia di lavoratori e il personale della scuola che si trovano in attesa di una risposta positiva alla domanda di pensionamento che dovranno ricevere entro il 31 agosto, ma non possono avere un incarico dal 1° settembre, di conseguenza i posti rimasti vacanti a settembre saranno coperti da supplenti con un incarico annuale, in attesa di fare l’assunzione definitiva nel successivo anno scolastico,
si chiede di sapere quali procedure i Ministri in indirizzo possano attivare, garantendo a tutto il personale dei settori interessati, dopo lunghe carriere lavorative, la tutela dei propri diritti pensionistici, nel breve e nel lungo periodo e al personale precario la possibilità di passare a tempo indeterminato dal 1° settembre 2018.
Atto Camera
Interrogazione a risposta scritta 4-00351
presentato da
testo di
antecedentemente al decreto del Presidente della Repubblica n. 19 del 2016 non erano state previste/distinte classi di concorso per ogni strumento insegnato nei licei musicali. I docenti erano impiegati presso i predetti percorsi sulla base delle disposizioni transitorie fissate dal decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, e delle disposizioni contrattuali in qualità di utilizzati, sulla base delle abilitazioni nelle classi A031, A032, A077, facendo valere, per l’individuazione dell’avente titolo rispetto ai singoli strumenti, l’abilitazione strumentale per la A077, ovvero il titolo Afam. Le segreterie scolastiche dovevano poi procedere ad inserimenti manuali delle specificazioni: ad esempio A031; violino; A032; basso elettrico; ogni strumento non aveva quindi la sua classe di concorso;
con il decreto del Presidente della Repubblica n. 19 del 2016 «Regolamento recante disposizioni per la razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso a cattedre e a posti di insegnamento» le classi di concorso sono state razionalizzate e accorpate. Il decreto del Presidente della Repubblica in parte appare, però, privo di criteri direttivi univoci e lacunoso. Nella tabella A, codice A-55, relativa all’insegnamento degli strumenti musicali nei licei, pure nella vigenza, del decreto ministeriale n. 249 del 2010, e dunque dei bienni specifici completati dall’anno di tirocinio formativo attivo, sono confluiti indistintamente i titoli Afam relativi sia alla «Musica classica» sia alla «Musica Jazz». All’attuale stato dei fatti però gli strumenti di musica classica hanno una loro classe di concorso specifica, ad esempio la AB55 per la chitarra, la AC55 per il clarinetto; gli strumenti jazz, non sono invece stati disciplinati, creando non poche complicazioni per le segreterie, i docenti e gli studenti;
il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca non ha provveduto alla creazione di un codice per ogni specifico strumento di jazz;
la lacuna normativa ha quindi gettato i licei musicali nella confusione. Alcune scuole, in mancanza di codici disciplinari specifici, hanno addirittura cancellato le classi jazz e il relativo insegnamento, pur non essendovi alcuna indicazione in tal senso da parte del Ministero dell’università e della ricerca. Non è garantita agli studenti la possibilità di scegliere il proprio percorso scolastico perché i genitori dei medesimi spesso sono indotti a firmare un foglio che prevede il passaggio dal jazz al classico;
in assenza di classi di concorso specifiche, non si è potuto bandire alcun posto a cattedra in occasione del concorso 2016, come si evince dal contingente allegato al bando di cui alla delibera del direttore generale n. 106 del 2016;
ai sensi dell’articolo 4, comma 1 del decreto legislativo n. 59 del 2017, «al fine di assicurare la coerenza tra gli insegnamenti impartiti, le classi disciplinari di titolarità dei docenti e le classi dei corsi di laurea, dei corsi di laurea magistrale e dei corsi di diploma di I e di II livello dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, (…) con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca le classi di concorso sono riordinate e periodicamente aggiornate (…)»;
con decreto ministeriale n. 259 del 2017 si è già proceduto a una prima revisione del decreto del Presidente della Repubblica n. 19 del 2016, volta a correggerne i numerosi errori materiali, utilizzando dunque uno strumento di rapida e duttile predisposizione –:
se il Ministro intenda assumere le iniziative di competenza per confermare la musica jazz negli ordinamenti del liceo musicale e consequenzialmente, per procedere all’immediata integrazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 19 del 2016.
Atto Camera
Interrogazione a risposta scritta 4-00870
presentato da
testo presentato
modificato
NITTI, LATTANZIO — Al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
in merito al potenziamento dell’offerta formativa, ai sensi della legge n. 508 del 1999 e dal successivo decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003 gli istituti Afam, su indicazione del proprio consiglio accademico e mantenendo inalterata la spesa – possono ridefinire il proprio organico, ovvero, possono convertire un insegnamento in un altro. Tali variazioni sono soggette a precise regole che la direzione generale trasmette annualmente alle istituzioni, prevedendo la percentuale di cattedre convertibili, la necessità di allegare dati oggettivi a sostegno delle proposte di modificazione degli organici – per dimostrare la carenza di studenti nell’insegnamento che si intende convenire – e le debite motivazioni;
l’articolo 7, comma 6, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003 dispone che è il consiglio di amministrazione a definire «l’organico del personale docente per le attività didattiche e di ricerca, nonché del personale non docente»; il comma 7 del medesimo articolo dispone che «la definizione dell’organico del personale di cui al comma 6, lettera d), è approvata dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica», implicando che sulle delibere di conversione trasmesse dalle istituzioni per l’ottenimento di approvazione, dovrebbero essere operate valutazioni e controlli ai sensi della nota del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca n. 5015 del 16 aprile 2018;
molte delle variazioni di organico proposte dalle istituzioni Afam per l’anno accademico 2018/2019, non rispettano i sopracitati criteri contenuti nelle note della direzione generale;
l’operato di diverse istituzioni appare, dunque, in contrasto con il piano assunzionale previsto dagli articoli 653, 654, 655 della legge n. 205 del 2017 per il superamento del precariato in Afam, dal momento che se i posti scompaiono o vengono resi indisponibili, è evidente che non sarà possibile rispettare i tempi dettati dalla legge di bilancio con il conseguente protrarsi del contenzioso sull’abuso dei contratti a termine. Non è chiaro se l’indisponibilità di una cattedra, ovvero la disponibilità della stessa al solo tempo determinato, prevista dalla nota del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca n. 5015 del 16 aprile 2018, possa intendersi come «definizione di organico» o se tali indisponibilità divengano strumento per eludere il corretto scorrimento delle Gae per pilotare a piacimento il flusso del personale in entrata;
il Ccnl Afam, all’articolo 97, prevede che siano oggetto di nuova discussione riforme della mobilità del personale, attualmente basate su graduatorie nazionali costituite per anzianità di servizio e titoli di studio, cui si vorrebbe inserire una discrezionalità degli istituti, basata su una valutazione artistico-professionale e sulla richiesta di formazione per ciascun insegnamento, creando una sorta di modello per «chiamata diretta», dove gli istituti possono non mettere i posti vacanti in mobilità, bloccarli o metterli a concorso, o anche prevedere la mobilità del personale solo dopo le procedure di immissione in ruolo, tenendo così bloccati i docenti distanti dalla propria residenza –:
se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per stabilire un corretto impiego delle variazioni di organico fino al completamento del piano assunzionale a partire dal corrente anno accademico se intenda intervenire per sbloccare i posti attualmente resi indisponibili, ovvero resi disponibili al solo tempo determinato a partire dal corrente anno accademico, nel rispetto dei tempi previsti dalla legge n. 205 del 2017;
se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative tempestive volte ad intervenire sulle regole recanti le procedure di mobilità del personale per prevedere una fase transitoria a garanzia della possibilità dei docenti di ottenere un’assegnazione ad una ragionevole distanza dalla propria residenza d’origine, per ridurre i disagi economici e professionali reiterati da decenni di precariato.
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