Se anche, dietro la maschera del progresso, si sono restaurati quasi tutti i vecchi edifizi che in Italia ospitano i Conservatori, non è punto mutata la loro atmosfera. Vi si respira ancora l’aria rarefatta dei reclusori, e l’allievo può vincere lo stato di apatia che lo domina soltanto il giorno che lasciando la scuola ha la forza di dire a sé stesso: devo dimenticare ciò che la scuola mi ha insegnato e cominciare oggi a studiare. Studiare nel senso buono della parola, cioè interessarsi a tutto ciò che è in rapporto con la sua arte.

E che le scuole musicali lascino molto a desiderare lo dimostra il fatto che sono quelle che creano il più gran numero di spostati. Non c’è nel consorzio umano professione meno invidiabile di quella del musicista che dopo aver frequentato per nove o dieci anni un conservatorio è costretto a strimpellare nei cinematografi o nei caffè-concerto […] Se anche c’è chi trova che lo stato attuale delle cose gli conviene, non vuol dire che tutti debbano essere d’accordo, perciò è lecito almeno sognare una riforma degli istituti musicali e preoccuparsi dei risultati che attualmente vi si ottengono […]

La riforma dei conservatori più di creare dei grandi musicisti è necessaria per raffinare il gusto generale, perché la scuola potrebbe diventare un centro di irradiazione, capace di purificare tutto il nostro organismo musicale.

E’ consuetudine degli allievi di scegliere lo studio di uno istrumento piuttosto che di un altro, o per qualche predilezione dilettantesca, o seguendo i consigli dei competenti, e quantunque i conservatori musicali siano quasi esclusivamente l’asilo dei rifiutati delle altre scuole, è allo studio della composizione che si dedicano coloro che han dato peggior prova nei ginnasi, nei licei e persino nelle scuole elementari. […]

Dopo l’ammissione l’allievo come lo si guida? Facendolo seguire un programma di studio che non solo non permette di prendere in considerazione le caratteristiche delle varie individualità, sempre latenti anche nei giovanissimi, ma che nemmeno è in rapporto con le esigenze dell’evoluzione musicale.

Il convenzionalismo dei conservatori non ha nessun rapporto con la musicalità dell’epoca in cui viviamo.

Gli esercizi meccanici degli istrumenti si fanno attraverso studi antimusicali, dimodoché l’allievo fin da principio si abitua alla cattiva musica. Arrivato poi agli ultimi anni di scolagli si iniettano i soliti cinque o sei autori tedeschi, che egli eseguisce scimmiottando quei “virtuosi” che gl’insegnante gli avrà decantato come il non plus ultra della perfezione tecnica. […]

Dice il regolamento che tutti gli allievi devono studiare la storia della musica. Difatti si studia, ma come? Senza interesse. Anzi non si studia, e salvo poche eccezioni tutti gli allievi vengono interrogati pro forma e assolti della loro ignoranza per non danneggiarli nel ramo principale. […]

Dice pure il regolamento che tutti devono studiare l’armonia, perciò anche questa si studia, ma in un modo assolutamente indegno, peggio che il latino dei ginnasi, e gli allievi, che entrando nei conservatori sono costretti a subire ciecamente i loro regolamenti, come una disciplina militare, scarabocchiano quattro accordi a base di cifre, senza nemmeno dubitare che questi accordi possano essere in rapporto con la musica, e col solo desiderio di finire un’esercitazione seccante che ricordano poi durante tutta la vita, come uno degli incubi della scuola.

Per concludere: nei conservatori oggi si insegnano gli istrumenti più o meno bene tecnicamente, secondo che l’insegnante è più o meno abile, ma la musica vi è bandita. Per gli strumentisti, che escono saturi di elucubrazioni ottocentesche, non esiste né il passato, né il presente, e alla loro mentalità cadaverica si unisce quella dei cantanti, per i quali esiste un dio solo: il canto, e, di riflesso, le opere di quegli autori che possono procurare più scritture.

Tutta la musica italiana è nata dalla musica corale e se per più di due secoli questa ha dominato, raggiungendo le più alte espressioni d’arte, vuol dire che il senso della polifonia vocale è innato in noi, e oggi, più che morto, può essere soltanto assopito. La causa di questo assopimento forzato è sempre la stessa: il teatro, o per meglio dire il melodramma che, dall’ottocento in poi, ha assorbito tutta la nostra attività musicale. […]

[Le scuole musicali] dovrebbero accogliere tutti i giovani (dai dieci anni circa in su) che possono cantare, istruirli praticamente cominciando dal canto gregoriano e cercando di estirpare il senso diatonico assoluto che, ormai decrepito, non può generare che il cattivo gusto e la confusione. […] Dopo lo studio necessario per disciplinare la voce, il ritmo, e quello delle tonalità dimenticate, per mezzo del canto gregoriano, si dovrebbe iniziare, seguendo lo sviluppo musicale nel suo ordine cronologico, l’interpretazione della musica corale polifonica. […]

Durante questo primo periodo sarebbe già possibile classificare gli allievi e scoprire gli ingegni più vivi, però non si dovrebbe mai dimenticare che lo scopo della scuola non è quello di creare l’uomo di genio, che prima o dopo si afferma da sé, ma di formare un’atmosfera musicale capace di permettere lo sviluppo del genio quando c’è, eliminando anzitutto quegli ostacoli, che da un secolo in qua, l’hanno sempre soffocato nel cattivo gusto. […]

Se si sviluppa il musicista prima del suonatore, lo studio materiale degli istrumenti è enormemente facilitato, perché si viene a eliminare il conflitto fra il cervello e le mani. Ad ogni esercizio meccanico dovrebbe seguire sempre l’esecuzione di opere veramente musicali, avendo cura di sceglierle in modo che richiedano un’abilità di mano non superiore a quella di cui l’allievo dispone, ma senza preoccuparsi della lettura, perché l’occhio esperto di chi ha frequentato per qualche anno il corso di musica corale, fatalmente dovrebbe trovarsi in condizione da aiutare anziché ostacolare la mano.

La scelta dei cantanti-solisti avverrebbe quasi da sé: la forma di studio or ora tracciata permetterebbe all’allievo di manifestare non soltanto le qualità vocali, ma anche le attitudini che rivelano la sua più o meno notevole individualità artistica. Il corso speciale per i cantanti solisti rappresenterebbe l’amplificazione di quello già frequentato durante il noviziato, e anche qui l’esercizio materiale non andrebbe mai confuso con quello dell’interpretazione, che seguirebbe il cammino della musica per canto, da Caccini sino ai giorni nostri, evitando pericolose preferenze che possano corrompere il gusto e sviluppare l’idiozia musicale.

Allo studio della musica corale e istrumentale dovrebbe seguire la esecuzione (sempre in ordine cronologico) di quegli oratorî, di quei melodrammi e di quelle opere sinfoniche che sono le pietre migliari della grande arte musicale.

Prima dei melodrammi della Camerata Fiorentina si dovrebbe eseguire l’immortale capolavoro di Orazio Vecchi: l’Anfiparnaso, per poi arrivare a poco a poco sino a tutto il settecento, e pure la scelta degli oratorî potrebbe arrestarsi al settecento (Jommelli e qualche altro) perché di opere ottocentesche l’umanità è satura: inutile dunque sciupare dell’energia per contribuire alla distruzione dello spirito musicale. […]

I conservatori musicali dovrebbero costituire un organismo sonoro, atto a formare dei musicisti capaci di estendere la loro comprensione anche oltre la musica. Difatti tutti gli allievi dovrebbero assistere a un corso di storia dell’arte e della letteratura, reso più vivo frequentando i teatri di prosa (quando ne vale la pena) le gallerie, i musei, le conferenze sempre sotto la guida di artisti intelligenti che dovrebbero professare l’insegnamento non come degli stipendiati, ma quali apostoli di una grande idea.

Purtroppo un progetto di questo genere per oggi è una chimera, ma forse verrà il giorno in cui la musica, se continuerà a seguire una parabola discendente troppo vertiginosa, reagirà da sé, scegliendo il mezzo migliore, per rialzare le proprie sorti, senza l’aiuto né delle scuole, né delle accademie.

GIAN FRANCESCO MALIPIERO, Conservatori, in «Il pianoforte», 12 (1921), pp 354-358

 

https://www.docenticonservatorio.org/wp-content/uploads/2018/05/1455820196_657435_1455820493_noticia_normal.jpghttps://www.docenticonservatorio.org/wp-content/uploads/2018/05/1455820196_657435_1455820493_noticia_normal-150x150.jpgRedazionememorieUncategorizedSe anche, dietro la maschera del progresso, si sono restaurati quasi tutti i vecchi edifizi che in Italia ospitano i Conservatori, non è punto mutata la loro atmosfera. Vi si respira ancora l’aria rarefatta dei reclusori, e l’allievo può vincere lo stato di apatia che lo domina soltanto il...