Armonizzazione dei percorsi in Italia:
realtà e ipotesi di lavoro
Gentili Colleghe e Colleghi,
sappiamo bene che la situazione degli studi musicali in Italia è tutt’altro che rosea. Cause insistenti nel sociale e nel costume del nostro Paese, sono alla base di una crisi che tutti viviamo da anni. Occorre riflettere sui percorsi passati, senza falsità, cercando di affrontare questioni a!ncora rimaste senza risposta, per far luce sulla realtà odierna.
La volontà di portare l’educazione musicale nelle scuole di ogni ordine e grado, ribadita dal recente DL 60, l’esigenza di uniformare i percorsi dei Conservatori italiani a quelli delle analoghe istituzioni europee, diedero vita alla 508: ai Conservatori la fascia universitaria degli studi, ai Licei Musicali il compito di far seguito alle SMIM. Un disegno in linea con la tendenza europea ed internazionale. Ma è ovvio che ogni legge inneschi meccanismi economici, amministrativi, sociali, di contenuto. E’ di buon senso pensare che il legislatore debba cercare di prevedere il più possibile il portato successivo alla promulgazione di una norma. Così la partenza da un’analisi più approfondita della realtà, da dati certi, che già nel 1999 si sarebbero dovuti attentamente leggere, avrebbe consentito un iter legislativo diverso e più aderente alle esigenze dell’istruzione musicale i!taliana di quel periodo e degli anni a venire.
La pressante impostazione politica del “costo zero” costituisce senza dubbio il primo vulnus: a tutt’oggi i Licei Musicali sono in numero esiguo per rispondere all’idea di un’istruzione musicale diffusa, e non credo sarà il DL 60 a cambiare le cose. Il primo fondamentale punto su cui dobbiamo continuare a batterci è la ferma richiesta alla politica affinché realizzi un progetto economico rispetto a Formazione e Cultura: senza investimenti per scuole, orchestre, enti di produzione, ogni idea resta l’anello di una catena mai ricomposta. Nel ’99 questa premessa fu carente, e gli effetti si sentono ancora oggi. L’impatto amministrativo investe la governance dei Conservatori. Un sistema inadeguato che non consente la gestione dinamica dei processi. Non basta l’dea di Direttori Amministrativi manager, come ha detto il Ministro Fedeli recentemente. Con l’attuale normativa, per cui ogni deliberazione ha un iter decisionale tortuoso, mai chiaro ed univoco, non si può pensare che un ruolo diverso risolva qualcosa. Stessa criticità in capo ai Direttori, ostaggi di un sistema carente di agilità e discrezionalità, ingessati da un’elettività rivelatasi spesso paralizzante, varata su principi di democrazia, ma che si traduce sovente nell’immobilismo. Come la farsa a danno dei Presidenti che non percepiscono emolumenti. Lasciare al solo senso civico la responsabilità di enti complessi e problematici, è cosa assai grave e mostra una dubbia concezione della Cosa Pubblica. Insomma, se non c’è un disegno che sostenga Formazione e Cultura a partire da impegni economici, da una vision che investa nell’istruzione, nella creazione e nella difesa degli ambiti produttivi della Cultura e dell’Arte, tutte le p!arole resteranno vane.
L’aspettativa generata dalla 508 tra i docenti di Conservatorio, fu il passaggio da uno status “indistinto” a quello di docenti universitari. Questa equiparazione non si è mai concretizzata, se non in ordine ai titoli rilasciati dai Conservatori. E ciò solo per la Laurea Triennale, poiché ancora non giunge la decisione del Governo sulla messa ad ordinamento dei Bienni, questione su cui chiediamo da anni un provvedimento rapido ed efficace. E poi, decisioni passate di chiudere agli studenti privatisti, hanno innescato contenziosi confluiti nella recente circolare che riapre le porte agli esami di Vecchio Ordinamento per gli esterni. Con ricadute negative sul sistema e sugli studenti, disorientati sul che fare: proseguire il Triennio o uscire dal Conservatorio risolvendo tutto con un paio di esami, evitando anche la frequenza al Biennio?
C’è un altro aspetto che la 508 ha investito: nel Vecchio Ordinamento, gli alti numeri di iscritti si concentravano nei Corsi Inferiori. Quei numeri si assottigliavano man mano che si passava ai Corsi Medi ed ai Corsi Superiori, fisiologica selezione di ogni corso di studi. Dunque, a fronte di un certo corpo docente, i Conservatori hanno dovuto fare i conti con un numero spesso non congruo di iscritti. È ovvio, i contenuti sono importanti, ma la difesa dell’occupazione non è certo di minor rilievo. Così è stato: nascono i discussi corsi pre-accademici, sia per porre rimedio allo scarso numero di Licei Musicali, sia per garantire la piena occupazione dei docenti dei Conservatori. Ed infine – ma soprattutto – per creare quel vivaio di studenti, potenziali utenti dei Trienni, che viene meno nel momento in cui i Licei Musicali non hanno presenza capillare sul territorio e stante una loro oggettiva difficoltà nell’affrontare l’aspetto professionalizzante della musica: difficoltà sociale, a livello di piani di studio, di compatibilità con il percorso di un comune Liceo. Così è calato il livello generale, ed è divenuta pressante l’esigenza di ammettere il numero più alto possibile di studenti nei Conservatori. A questa problematica, sono convinto che il recente DL 60 non fornisca alcuna risposta. La sua impostazione, condivisibile nelle intenzioni di diffondere l’apprendimento delle discipline artistiche nelle scuole di ogni ordine e grado, non ci fa intuire prospettive di riordino del sistema della formazione musicale professionalizzante, ponendo anzi vincoli ai Conservatori circa i Corsi pre-accademici.
Quanto ai contenuti: forse non si pensò che eliminando dai Conservatori la fascia preuniversitaria degli studi, alcune categorie di docenti avrebbero sofferto in merito al loro impiego. Penso ai colleghi di Teoria, Ritmica e Percezione Musicale, utilizzati nel Vecchio Ordinamento nei “Corsi inferiori”; oggi inseriti nella fascia universitaria, ma con problemi annosi, che non si placano a quasi vent’anni dalla Riforma. E’ vero: la lettura della musica e lo sviluppo della percezione si possono affrontare anche a livelli universitari. Ciò non toglie che le discipline in oggetto restino di base, poiché lo sviluppo delle capacità di lettura e di scrittura della musica, nonché l’affinamento delle facoltà percettive di uno studente, devono essere affrontate all’inizio del percorso di studio e – semmai – successivamente solo potenziate. Purtroppo, ciò oggi non avviene: a fronte di un nocivo ritardo nell’acquisizione degli elementi alla base di un corretto studio della musica, molti studenti giungono in età universitaria senza le sostanziali competenze necessarie per affrontare il Triennio. Inoltre, la non propedeuticità di alcuni insegnamenti rispetto ad altri, varata in omaggio ad una fantomatica libertà didattica, ha dissestato il terreno su cui ci misuriamo. Sono convinto che una considerazione sommaria della particolarità degli studi musicali sia causa di tutto ciò: il diritto agli studi insiste nella parità di ognuno a poterne fruire, non in come gli studi vengono organizzati, fatto tecnico su cui solo gli esperti possono intervenire e disporre. Ricordo – in tal senso – che dopo più di quattro anni, siamo ancora in attesa del CNAM. Diligentemente, il DL 60 lo cita, per poi ricordarci – all’art. 16 – che “il decreto di cui all’articolo 15, comma 4, in mancanza del parere del medesimo Consiglio e’ “perfetto ed efficace”. Con buona pace di chi pensa che il parere tecnico sia ineludibile. La politica deve farsi carico di questa grave omissione.
E così siamo nel vivo del problema. La recente istituzione dei corsi propedeutici – art. 15 del DL 60 -, auspicata dalla Conferenza dei Direttori e che io stesso ho appoggiato, dimostra però che c’è qualcosa di strano in tutto il sistema: invece di trovare soluzioni vere, si rattoppano falle non adeguatamente trattate negli anni scorsi. Sono consapevole che il varo dei propedeutici sia ad oggi l’unico necessario e vitale passo per garantire la sopravvivenza di moltissimi Conservatori, sia in difesa dell’occupazione, sia rispetto ad una preparazione adeguata della futura utenza dei corsi AFAM. Ma allora i Licei Musicali? Dov’è che vuole andare la Politica? Quali risposte concrete darà al nostro settore? Queste risposte sono prevedibili nel DL 60? Purtroppo, non credo. Ritengo invece che le condizioni per dare una via di uscita al sistema siano essenzialmente tre.
Della prima ho detto: l’impegno della politica a non considerare Formazione e Cultura come costo, ma come fruttuoso investimento. Ciò si realizzerà solo allorché qualsivoglia governo ci mostrerà di trovare le risorse per sostenere e far crescere il settore – dall’istruzione alla produzione -, ciò che almeno da vent’anni a questa parte, limitandoci ad esaminare il periodo post-Riforma, non avviene ed anzi va sempre peggiorando. Quanto ai Conservatori: si pensi alla problematica delle utenze non più in capo alle Province; alla recente “no tax area” per gli studenti meno abbienti. Come si spiega lo stanziamento a compenso, di 160 milioni di euro per i prossimi due anni, destinato alle Università, m!entre per i Conservatori si parla solo di spiccioli da dividere tra numerose istituzioni?
La seconda condizione è che la Politica debba farsi garante a livello normativo di una centralizzazione delle scelte, naturalmente dopo aver acquisito i pareri dei protagonisti del sistema. L’autonomia ha il pregio di dare respiro alla formazione, di garantire libertà didattica, di diversificare l’offerta formativa. Ma la deregulation del sistema musicale è ormai arrivata ad un punto insostenibile. Il Vecchio Ordinamento aveva un iter di studi univoco per tutto il Paese, rappresentando un punto di riferimento. È fondamentale convergere sulla necessità di ridisegnare le regole, adattandole ad una realtà profondamente mutata, a partire da un tavolo in cui siano rappresentati tutti gli attori della “filiera”, mirando però ad un vero orientamento nazionale, che riduca le differenze, per giungere ad un’idea condivisa del sistema le cui fila dovranno essere tirate dalla politica. Questa è la delicata responsabilità che ognuno deve assumersi, e la cui sovrintendenza, frutto di un preciso disegno, dovrebbe essere appunto politica. Pensiamo solamente a quanti problemi sorgono in merito al riconoscimento dei crediti formativi: nella gestione del passaggio dal Vecchio al Nuovo Ordinamento, nella valutazione delle competenze pregresse, e di come tale criticità divenga ancor più grave nel caso di un trasferimento tra Conservatori. La centralizzazione delle scelte, una più stringente normativa che unifichi la condotta a livello nazionale sono indispensabili affinché il sistema funzioni. Diversamente – e questo succede oggi – è il caos. A proposito di ciò, lo ribadisco, la politica non può continuare ad ignorare la problematica del CNAM: non è più tollerabile pensare che decisioni prese senza la consultazione di un organo tecnico competente siano “perfette ed efficaci”.
La terza condizione riguarda i contenuti. Stabilire minuziosamente i livelli di entrata e di uscita da ciascun segmento di studi è condizione affinché il sistema possa funzionare. Dirigo un Conservatorio e sottolineo quindi l’esigenza di un alto livello all’entrata in AFAM. Ed un livello di ingresso ai corsi propedeutici garantito. Ma garantito da chi? Dalle SMIM, dai Licei Musicali? E se dai Licei Musicali, come possiamo pensare che uno studente di 18/19 anni possa giungere a quell’età senza avere la preparazione adeguata per entrare al Triennio? Come possiamo pensare che questi potrà inserirsi poi nel mondo del lavoro? Giungere a 18/19 anni con carenze strumentali significa esser già fuori da aspirazioni professionali. Dunque, la domanda che dobbiamo porci riguarda la direzione da prendere: vogliamo una formazione musicale divulgativa o che investa con forza nel segmento professionalizzante? In questo senso il DL 60 non ci viene in soccorso. Sviluppa l’attenzione per il tema sociale, ma non tocca il secondo aspetto. A quando un pronunciamento concreto sul ruolo dei Conservatori? Sono convinto i due obiettivi debbano essere entrambi perseguiti, ma a patto di una revisione del ruolo dei Licei Musicali. Basterebbe, ad esempio, pensare a due piani di studio, uno ad indirizzo orientativo ed un altro professionalizzante. Mentre quello orientativo resterebbe rivolto alla generica diffusione della cultura musicale, quello professionalizzante andrebbe completamente ridisegnato in accordo con i Conservatori. Trovo oggi nocivo, lo studio al liceo di due strumenti: tale prassi può rientrare solo in una visione orientativa della cultura musicale, ma non certo aiutare – almeno nella maggior parte dei casi – il fattore professionalizzante. Nel Vecchio Ordinamento il secondo strumento era il pianoforte, non con il ruolo di alternativa allo strumento principale, tanto che veniva chiamato “complementare” in quanto unico strumento su cui letteralmente vediamo l’armonia, il contrappunto, su cui si può leggere una partitura. Ometto di parlare dei motivi che hanno suggerito di introdurre nei licei il secondo strumento: è il caso però di rifletterci dando risposte corrette, senza prese in giro. Penso poi alla preparazione teorica. La cosiddetta TAC pretende di insegnare la Composizione a tutti: cosa assolutamente insensata. Se il basso a 4 parti veniva insegnato dopo il corso inferiore, e quello imitato e fugato era prova d’esame di Composizione, come si pretende, con poche ore a settimana, di insegnare ciò a 20/30 studenti contemporaneamente? A discapito peraltro della fondamentale disciplina della lettura, di cui ho già detto e che, per mia diretta esperienza, è drammaticamente trascurata, con risultati spesso disastrosi. Tutto ciò va ripensato, altrimenti il sistema non potrà reggere e produrrà ulteriori sfasci. Non possiamo valutare solo i casi positivi se, per lo più, i risultati stentano a decollare. Dobbiamo invece analizzare gli errori e porvi rimedio. S!enza fraintendimenti e finzioni.
Concludo sperando in una “filiera” positiva, con urgenza di disegnarla attentamente nelle sue connessioni, per affidargli il futuro. L’occasione sarà la redazione del Decreto del Ministro, in ordine al DL 60. Vigileremo con estrema attenzione sulla sua stesura, in assenza di un CNAM che avrebbe titolo ad intervenire nel merito dei contenuti. Ci batteremo affinchè la politica rispetti le parti coinvolte, e che tenga nel debito conto almeno l’orientamento della Conferenza dei Direttori, per dare ascolto e risposte ai maltrattati Conservatori. I nostri giovani coinvolti, nei loro percorsi, dalla rivoluzione digitale, necessitano di una didattica diversa da quella del passato. Ma non dimentichiamo che il sociale è permeato dalla Scuola, e che proprio la Scuola segna un punto fermo nel plasmare i giovani e dunque la Società. Non ignoriamo il fulcro di tutta la questione! Abbassare la guardia sulla serietà dei percorsi è l’anticamera di un futuro che purtroppo già scontiamo in modo grave. Io però resto fiducioso. È lo spirito che ci ha condotti qui. E ciò che stiamo facendo e faremo rappresenta il nostro futuro, e quello dei nostri figli, per i quali dobbiamo sforzarci di pensare un domani migliore. Grazie.
Alberto Giraldi
Direttore del Conservatorio «L. Refice» di Frosinone
Grazie al M° Giraldi per questa lucida analisi. Condivido molti dei contenuti e delle proposte.
Sono meno “pessimista” sulla portata del D.lgs 60/2017. Ricordando che si tratta di un testo il cui buon esito dipende da chi (galassia invero molto ampia) lo deve attuare, e da come lo attuerà “armonizzandosi” con gli altri attori del sistema, ritengo si tratti di un intervento che dieci anni fa sarebbe stato definito pleonastico, ma che oggi, nella più completa paralisi in cui si trascina il sistema da anni, diventa un elemento “di moto” di un processo ben più ampio che deve essere realizzato nella sua interezza. Un piccolo tassello, ma vitale per la chiarezza dei percorso da fare!
Senza questo passaggio non sarebbe stato possibile pensare “al resto”. Come si può pensare ai bienni, ai dottorati, alla “terza missione”, alla ricerca, alla internazionalizzazione continuando a discutere quasi solo se il Conservatorio era meglio prima o dopo la riforma, se i pre-accademici (nati come corsi transitori) debbano diventare definitivi (senza riflettere che manca la norma per poterlo fare!)?
Il propedeutico non risolve le grandi questioni giustamente citate dal M° Giraldi, ma definisce e salva la funzione professionalizzante del Conservatorio, inglobando parte di un settore (il pre-AFAM) che la riforma non prevedeva, senza per questo contraddire lo spirito terziario della riforma.
La domanda se i Licei ce la faranno o meno a “riempire i buchi” è mal posta a mio parere. Quello che oggi non va non è detto che non possa migliorare in futuro, se c’è un effettivo impegno di tutte le parti. A priori non possiamo decretare che i nostri diplomati (ora vincitori di concorso) per principio non siano in grado di preparare nei Licei gli studenti nella fase iniziale degli studi!
Non dimentichiamo poi che dagli studi europei (AEC, 2010) risulta che solo una minima parte di studenti Bachelor vengono da Licei musicali o cose simili. Anche in Italia la previsione che avevamo nel 2010 era del 20% di maturati in grado di entrare subito nel Conservatorio (e già sarebbe un ottimo risultato). Gli studenti del Triennio proverranno per lo più ancora dal Conservatorio (dai pre.accademici ancora organizzabili anche se diversamente, ma soprattutto attraverso i propedeutici), e secondariamente dalle scuola private (convenzionate o convenzionabili), o privatamente, come avviene ovunque e come avveniva frequentemente anche nel secolo scorso.
Siamo per una volta ottimisti e cerchiamo di approfittare delle opportunità!
Paolo Troncon